Mustafa, volontario afghano di Binario 15

Mustafa, volontario afghano di Binario 15

Oggi in tutto il mondo si celebra la giornata del rifugiato e mai come in ora riteniamo importante sottoporre all’attenzione pubblica la condizione dei rifugiati in Italia e in Europa. In particolare per due motivi: uno di ordine quantitativo, che riguarda il costante aumento dei flussi migratori nel nostro Paese; l’altro di ordine qualitativo, che invece coinvolge la percezione del fenomeno migratorio da parte degli italiani, anche in considerazione degli effetti della crisi. Crisi che spinge i nostri connazionali a considerare i migranti una minaccia per la propria sicurezza economica senza considerare il fatto che nella realtà i 4,5 milioni di stranieri che vivono regolarmente in Italia versano in tasse e contributi molto più di quello che ricevono in termini di servizi da parte dello stato italiano. E senza considerare, oltretutto, il particolare status dei titolari di protezione internazionale. Questi sono temi molto cari a Binario15, che da anni si occupa di assistenza ai minori in transito cercando di sensibilizzare i cittadini e le istituzioni affinché si attivino delle dinamiche che vadano oltre l’assistenzialismo e promuovano interventi di tipo proattivo, cioè volti a sviluppare l’identità civile e l’autonomia lavorativa dei titolari di protezione.

Ma facciamo un passo indietro e prendiamo un momento in considerazione la definizione di “rifugiato” data dalla Convenzione di Ginevra del 1951:

“Il rifugiato è colui che temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra” [Articolo 1A della Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati].

Proveremo a ridefinire lo status di rifugiato con parole meno astratte:

Il rifugiato è una persona in carne ed ossa che ha una famiglia, degli amici, una casa dove desidererebbe tornare ma a cui è costretto a rinunciare per motivi che mettono a rischio la sua vita e che affronta un faticoso e pericoloso viaggio per raggiungere un nuovo Paese dove spera di trovare una condizione più favorevole di vita rispetto al Paese da cui proviene.

E’ importante secondo noi ricordarlo perché le politiche nazionali e internazionali – dalla Convenzione al Regolamento di Dublino III – unitamente all’aumento drammatico dei flussi migratori hanno fatto sì che si attribuisse ai rifugiati l’accezione di un grosso problema socioeconomico da risolvere, o finanche una minaccia da cui proteggersi, piuttosto che di una realtà umana a cui prestare soccorso. E’ quindi importante ritrovare la dimensione umana della parola “rifugiato”, dargli un volto, una storia, un’identità.

E’ quello che Binario15 cerca di fare attraverso la sua attività che vanno dai laboratori educativi dedicati ai giovani afghani in transito, alle attività di monitoraggio della stazione Ostiense con il fine di orientare e osservare l’andamento dei flussi migratori. Anche se interessa la zona di Ostiense da più di 12 anni, la condizione dei migranti afghani in transito a Roma resta una realtà sconosciuta alla maggior parte delle persone, una situazione invisibile e proprio per questo piena di vulnerabilità. Dal 2012 ad oggi ci sono stati alcuni miglioramenti che hanno creato delle occasioni di accoglienza ritagliate sui migranti in viaggio. Un’offerta che prima non esisteva ma che non rappresenta ancora una soluzione adeguata ad un problema di ampia portata come quello dei migranti afghani in fuga dalla guerra, che attraversano il nostro paese cercando di arrivare nei paesi dell’Europa del Nord.

La stazione Ostiense appare popolata non solo di migranti che lasceranno il nostro Paese, ma anche di giovani che hanno deciso di costruirsi una vita in Italia e che malgrado siano qui da mesi o anni, non riescono ad accedere ad un adeguato sistema di accoglienza e di integrazione. Anche loro sono costretti a recarsi alle mense di strada per avere un pasto, benché titolari di protezione internazionale. Parlando con loro durante le nostre attività di monitoraggio sono emerse criticità fondamentali. Tra queste la prima è l’ottenimento dei documenti di rifugiato, un iter che spesso richiede tempi di attesa lunghissimi e che è condizione necessaria per essere accolti in alcune strutture di accoglienza, per ricevere il denaro necessario per vivere o ancora per attivare un abbonamento telefonico. E nel frattempo i richiedenti asilo/titolari di protezione hanno molte difficoltà legate alla mancanza di un documento di riconoscimento “vero”: spesso le stesse forze dell’ordine non riconoscono tali documenti come documenti validi ai fini identificativi.

La seconda criticità riguarda sicuramente la lingua: come si può permettere ad un soggetto di integrarsi nella società che lo accoglie se non gli si forniscono gli strumenti per comunicare? E’ bene ricordare che la mancanza delle competenze linguistiche del paese ospitante è anche il principale ostacolo nella ricerca di un lavoro, almeno di un lavoro che non faccia parte del “mercato nero”. E l’urgenza principale del rifugiato è proprio trovare un’opportunità lavorativa che gli permetta di conquistare l’autonomia, di aiutare i familiari rimasti in patria, di ripagare i debiti contratti. I corsi di italiano L2 attivati sul territorio di Roma non bastano a soddisfare la richiesta dei destinatari e spesso non sono progettati per un’utenza eterogenea (si pensi alla prima alfabetizzazione di cui molti hanno bisogno).

Un aspetto altrettanto importante ma che spesso non si prende in considerazione è anche il bisogno di supporto psicologico di cui potrebbe necessitare un rifugiato. Occorre infatti immaginare che le persone di cui si parla provengono da realtà complesse e difficili, a volte con trascorsi di violenza alle spalle. Per di più il viaggio che affrontano per fuggire dai loro Paesi e giungere in Europa è lungo ed estenuante, può arrivare a durare anni, e non è privo di fatiche né di eventi estremamente drammatici… Si prova a tenere traccia delle persone senza identità che riescono ad arrivare in UE ma di quelle che “non ce la fanno” purtroppo non si ha un dato certo, l’unica traccia che rimane di queste persone sono i racconti che ne portano i loro compagni in Europa.

E’ bene che le istituzioni si rendano conto delle condizioni in cui versa un titolare di protezione che arriva in Italia alla ricerca di asilo. Emblematica è la domanda che ci hanno posto alcuni ragazzi parlando a proposito del sistema di accoglienza italiano e riferendosi indirettamente al Regolamento di Dublino III, il quale obbliga come noto il richiedente asilo a fare domanda di protezione internazionale solo nel primo Paese dell’UE dove venga identificato. A tale proposito ci hanno chiesto: “Ma perché ci obbligano a fare richiesta di asilo qui se l’Italia poi non può accoglierci?“. Una domanda semplice e la cui semplicità raccoglie una grave denuncia alle Istituzioni pubbliche, italiane e europee.

Cosa rispondere a una tale domanda? Non vogliamo essere noi a dare una risposta, ma piuttosto farci mediatori tra i richiedenti asilo e le istituzioni affinché rispondano con delle politiche adeguate e maggiormente attente alla promozione dell’integrazione e dell’autonomia.