Valentina Benincasa è una volontaria di Binario 15 che nei giorni scorsi è andata a Taranto per aiutare i migranti arrivati nella sua città natale. Questa è la sua testimonianza da cittadina attiva che Binario 15 supporta e vuole condividere per guardare “l’emergenza sbarchi” da vicino, senza telecamere e dare spunti di riflessione.

Più di duemila migranti sono arrivati a Taranto nell’ultima settimana e sono stati poi trasferiti altrove. Alcuni di loro, 170 per la precisione, saranno ospitati nel PalaRicciardi di Taranto, palazzetto adibito a centro d’accoglienza temporaneo e d’emergenza; gli altri andranno in diverse strutture della provincia. Tutto ciò nonostante a Taranto siano presenti caserme e edifici militari abbandonati che potrebbero fornire ai migranti un’ospitalità e assistenza più civili.

Delle persone arrivate nell’ultima settimana, sono rimasti in città quarantacinque minori non accompagnati, di cui trentotto richiedenti asilo ospitati nell’asilo nido “Baby Club”. Provengono da Gambia, Ghana, Mali, Senegal, Marocco, Guinea. Per aiutarli è partita una rete di solidarietà e aiuto volontario tra i cittadini: tra organizzazione, pulizia, gestione e animazione le cose da fare sono tantissime. “Ok, andiamo!” penso. “Vediamo che si può fare!”.

Appena arrivata, comincio a guardarmi intorno, a scambiare sguardi, sorrisi e strette di mano. Capisco al volo di aver fatto la scelta giusta e che difficilmente riuscirò a trovare la forza di andare via da lì. Realizzo che i miei libri da studiare rimarranno chiusi sulla scrivania a prender polvere e, sorprendentemente, l’ansia pre-esame non mi assale per niente.
Confesso, però, che ci sarebbe tanto, troppo da raccontare. E’ molto difficile trascrivere in una pagina l’intensità vissuta in questi tre giorni. Tra i minori c’è chi ha viaggiato per due anni per arrivare in Italia; chi invece ci prova per la seconda volta perchè la prima è stato rimandato indietro; chi ha visto gli amici rimanere chiusi nelle carceri libiche perchè “non avevano i soldi per il viaggio”.

In tre giorni abbiamo fatto di tutto: insegnato italiano, guardato le partite, ballato, cantato, giocato, parlato.
Soprattutto, però, abbiamo ascoltato. Toccava e tocca a loro parlare. Ho ancora in testa le loro storie, i loro pensieri, i loro desideri futuri. Quando ti parlano, quando ti raccontano (perché di cose da raccontare ne hanno davvero tante), escono fuori sprazzi di viaggio non sempre felici, pezzi di vita passata, descrizioni delle bellezze della loro Terra natia. Ti invitano nel loro paese e ti dicono che un giorno saranno loro a mostrartelo, ad accompagnarti durante il viaggio (e lì scappa un sorriso e anche una lacrima). Subito dopo, ti dicono che vorrebbero vedere il tuo, di paese, e capisci che non riusciranno a resistere per molto tempo in quella struttura da cui non possono uscire. Capisci che si sentono “stretti” e che hanno voglia di continuare il “viaggio”. Vorrebbero vedere la città, mi chiedono di mostrargli il mare.

Nasce il confronto, i volontari aumentano giorno dopo giorno, i ragazzi ne sono strafelici. Riscopriamo la purezza di un rapporto umano, di uno sguardo, di una parola giusta detta al momento giusto (le loro più delle nostre). Più di uno ci confessa che vuole rimanere a Taranto perché è “la costa sorridente d’Italia”. Poi, però, la sera torni a casa e cominci a pensare. Ti rimbombano in testa le loro parole e ti chiedi: “Dove andranno? Riusciranno a rimanere in Italia? Come possiamo continuare ad aiutarli?”. Non sanno neanche loro cosa succederà. Voci dicono che li “sposteranno”, altre che rimarranno in zona per tutta l’estate e saranno accolti in varie strutture della provincia.

Credo sia questo il problema maggiore: si sa che arrivano, il boom mediatico sugli sbarchi è continuo. E poi? Che succede? Dove vanno? Come sono accolti e trattati? Sono tutelati? Pensi e ti rendi conto ancor di più che qualcosa dovrebbe cambiare, che non è possibile continuare a muoversi in questa incertezza, che non è giusto che si continui a trattare questo tema in modo così superficiale.

Intanto, le ore passano, lo djambè continua a suonare e in cuor tuo li ringrazi per il loro coraggio, la loro forza e purezza, per la voglia di vivere che riescono a trasmetterti.  Ringrazi la città ed i cittadini che hanno scelto di mettersi in gioco per affrontare quest’emergenza facendo tutto il possibile.

Chiediamo di non essere lasciati soli, abbiamo bisogno del supporto e dell’assistenza delle istituzioni. Era ed è una situazione totalmente nuova per Taranto, ma la città ha risposto mettendoci il cuore… E ha ricevuto in cambio molto di più.
Che queste ricchezza d’animo e forza di volontà ci accompagnino sempre.

di Valentina Benincasa